Povero vecchio futuro

19 marzo 2009

Diamo oggi inizio effettivo alla serie delle Strategies against architecture, post che, come scritto nell’ultimo, vogliono essere dedicati ad un’analisi critica del carattere deteriore della grande informazione che i media (più o meno) generalisti fanno in fatto di architettura ed ad una sorta di scioglimento in prima battuta di certi stereotipi ricorrenti che deformano in materia l’opinione comune.

Benché l’argomento sia ahimè vastissimo, da una parte bisogna pur cominciare e nella fattispecie lo faremo commentando una recente puntata de Le storie – diario italiano, bel programma culturale condotto da Corrado Augias in onda dal lunedì al venerdì su Rai3 dalle 12.45 circa.

In particolare, nella puntata del 6 marzo, il padrone di casa ha incontrato Vittorio Gregotti che, non pago di una ospitata a PassepARTout di qualche settimana prima, ha avuto la possibilità di presentare il suo ultimo Contro la fine dell’architettura, appunto, anche in casa Augias. Per capire di cosa parleremo, consiglio vivamente di dedicare una ventina di minuti alla visione della trasmissione, che mamma Rai rende disponibile cliccando qui (mi si perdonerà per il rimando, ma purtroppo l’embedding non è possibile da Rai.tv).

Per prima cosa, direi – tentando di sedare spontanei moti di irritazione che si generano in me all’udire simili commenti –, cominciare una trasmissione di carattere divulgativo con un attacco praticamente indiscriminato ai (presunti) peccati di una (presunta!) architettura contemporanea non è propriamente motivo di vanto da parte di un professionista con esperienza vastissima anche nel campo dello studio della storia della disciplina. Questa considerazione valga come un cappello che credo sarebbe d’uopo far indossare a qualsiasi speculazione di tipo paternalistico, ovverosia di qualsiasi riflessione tenuta in forma di lezione e rivolta quindi ad una platea di ascoltatori ritenuti per lo più ignoranti sull’intero ambito della medesima. L’utilizzo di una tale tecnica, infatti, non può che creare facile gioco al relatore privo di un contraddittorio alla pari (non se la prenda il buon Augias, persona assai colta ma non certo uno studioso di architettura), relatore per di più coinvolto nel conflitto di interessi di chi pubblicizza implicitamente il proprio lavoro già con la propria sola presenza; demolendo poi le intenzioni altrui, anche gli ultimi ostacoli all’affermazione della propria (ancora presunta!) superiorità intellettuale sono facilmente rimossi.

Questo tanto per speculare sul metodo; ma per entrare invece nel merito, giudico un colpo a vuoto anche l’arringa di Gregotti per bocca di Augias fatta per colpire il facile bersaglio David Fischer sul suo famoso grattacielo rotante. Le argomentazioni sono, per usare un eufemismo, decisamente carenti d’arguzia: il grattacielo è «una vera sciocchezza» ed «uno spreco insultante» (perché, se è tecnologicamente sensato al punto di risultare autosufficiente per il verso energetico? perché, se interpreta in modo formalmente assai semplice l’anelito non nuovo dell’architettura al movimento?); il grattacielo è grande – e giù a far propria la Bigness di Koolhas che però ne scriveva con tutt’altro intento la bellezza di quindici anni fa – e il grande è male, il che è senz’altro un’osservazione di indubbia freschezza; il grattacielo è «bizzarro», appellativo poco più che risorgimentale la cui opportunità è messa in dubbio dalle stesse argomentazioni degli stessi Gregotti (riguardo l’esistenza della Villa Girasole di Marcellise dal 1929) e Augias (che giustamente ricorda Brunelleschi).

E poi, l’apoteosi del deperimento critico. S’invertono le parti: Gregotti prende giustissimamente le difese della teoria dell’architettura ed accusa, forse ancora a ragione (ma qui ci sarebbe da discutere assai a lungo) lo scarso uso dello studio teorico alle spalle di tanta progettazione contemporanea; al che Augias si rifugia da buon (!) profano nel sillogismo bestiale: Le Corbusier ha fatto delle case dove non andrei mai ad abitare / Le Corbusier era «uno che teorizzava molto» / la teoria dà origine a mostri.

E si riduce così ancora una volta un tentativo di dibattito “colto” sull’architettura all’autodifesa del progettista dello Zen, alle accuse alla politica, alla descrizione dell’architetto come colui che fa le case belle ma scomode e in sostanza al solito nulla storico, artistico, estetico, filosofico, poetico e sociologico che è l’unico quadro che sono in grado di fare dello stato della prima arte tutti questi studiosi della domenica che s’improvvisano, ogni volta, nel riassumere le questioni d’architettura da Brunelleschi alla Fiera di Milano in quindici minuti.

Nessuna meraviglia che gli ascoltatori, vedendo intitolare queste aberrazioni “progettando il futuro”, cerchino mesta pace nel consueto anacronismo eclettico di ritorno.

8 Risposte to “Povero vecchio futuro”

  1. salpicascia Says:

    Come non essere d’accordo con te.
    L’ho vista in diretta quella puntata. Il livello era decisamente basso. La trasmissione è in onda in una fascia oraria da massaie ai fornelli, senza offesa per le massaie, con il livello di attenzione di una persona che non deve far bruciare il ragù. E per un buon ragu sappiamo bene che occorre molta attenzione!
    A parte gli scherzi, in tv gli argomenti che passano devono essere slavati e comprensibili ad un pubblico il più vasto possibile, bisogna fare ascolto, share. Il futuro non passa di qui!

    ciao e complimenti
    PS
    una persona che si occupa di tante cose non è tuttologa della peggiore specie ma curiosa della migliore.


  2. Grazie per le gentilissime parole. Vorrei ppter offrire un servizio migliore, più continuativo e scientifico, ma per il momento i miei impegni universitari limitano pesantemente le mie riserve di tempo.
    Per fortuna qualcuno, come te (se posso ricambiare il “tu” come la netiquette permette sul modello anglosassone) comincia a venire a curiosare in questo angoletto dove il mio progetto di ricerca è appena cominciato. Grazie ancora.

    E complimenti per l’ottimo portfolio!

  3. Matteo Says:

    Ciao.
    Guarda, sul grattacielo di Fischer in parte concordo con Gregotti: per fare un paragone, si è dimostrato che anche i pannelli fotovoltaici rotanti sono molti più inefficienti rispetto a quelli fissi; quando si sviluppa un progetto di questo genere occorre considerare ad esempio anche i costi di manutenzione per mantenere efficiente il sistema che consente di ruotare i vari piani (niente dura in eterno, tanto più ingranaggi come questi, che sono delicati perchè molto precisi e sottoposti a sforzi molto elevati). Inoltre, quando fra (stiamo larghi) 50 anni questi ingranaggi andranno cambiati per usura, come verrà eseguita questa manovra? Con che costi?
    Lo so che può sembrare a prima vista assurdo, ma lavorando in un settore che dà molta importanza alla manutenzione, mi sono accorto che la spesa di costruzione iniziale può essere nulla paragonata alle spese di gestione.
    Al contro si fa l’esempio dei girasoli: ricordiamoci che i girasoli devono mantenere il loro sistema di movimento efficiente solo per pochi mesi e poi muoiono (non credo che sia una bella idea quella di costruire qualcosa che sarà poi inutilizzabile fra qualche anno).
    Detto questo, dopo aver visto il video, concordo con la tua analisi (spietata) del programma: si mena troppo il can per l’aia. Perchè anzichè tanta critica negativa, non si propongono invece esempi concreti per poter ricominciare a fare della buona architettura?
    Ciao

    Matteo
    P.S. Beh..in bocca al lupo per gli studi!


  4. Personalmente non possiedo le competenze tecniche per dimostrare nè l’opportunità nè la scelleratezza del lavoro di David Fischer; ritengo tuttavia che a Dubai esistano, oltre ai sultani del petrolio o a chi per loro, anche uffici tecnici capaci di un minimo di studi di fattibilità e di piani di manutenzione delle opere la cui costruzione viene permessa nel loro stato.
    Con questo non intendo ovviamente che il grattacielo rotante costituisca il manufatto-tipo che vedremo sorgere prossimamente nelle nostre città, per ovvie ragioni ancora una volta di opportunità tecnico-economica. Intendo però dire, e a maggior ragione, che attaccare certi singolari esperimenti facendo di essi il capro espiatorio del proprio malcontento verso il contemporaneo è un’operazione sbagliata (logicamente) e scorretta (eticamente), perché appunto tali esperimenti non costituiscono la regola dell’oggi e probabilmente non la costituiranno mai. Ed è per questo, in conclusione, che possono essere portati avanti.

    A cosa ci porta questo? Ma appunto alla constatazione da te condivisa che esiste una classe di architetti nel nostro paese che ha smesso di aggiornarsi da quando, riscuotendo successo, ha cominciato a pensare di incarnare il presente e di poterlo incarnare a tempo indeterminato. E che esiste una classe di comunicatori e pseudo-studiosi che, appartenendo alla stessa generazione e schiatta, ne condivide la dannosissima opinione.

    A noialtri, Matteo, il compito di smentirli.

  5. PEJA Says:

    Gregotti dopo il suo suicidio mediatico attuato di fronte alle telecamere delle Iene non dovrebbe essere messo più in grado di parlare senza contraddittorio. Ma si sa, siamo nel paese dove il conflitto di interesse è una questione di cui si parla senza sapere bene di cui si tratta. Curiosità, anche il nostro amico soffre delal sindrome d’accusa perpetua, dato che è stato più volte chiamato a giustificare la sua scelta di inserire nell’elenco degli edifici moderni in Italia da conservare molti suoi progetti.


  6. Ahimé quante curiosissime coincidenze in tutto questo, caro Emma… 😉

  7. Beeb Says:

    Ciao e complimenti per il blog.

    Vorrei fare un paio di commenti circa il grattacielo di Fisher.

    Primo punto: la durata del ciclo di vita del grattacielo. Tutto quanto viene ingegnerizzato oggi (non solo i grattacieli) viene sottoposto ad analisi di fattibilità che tengono conto, tra i molteplici fattori, anche della durata presunta del bene. In questa ottica, nessuna opera di ingegneria ha una durata progettuale prevista dell’ordine di centinaia di anni. Viceversa, viene effettuata una stima sul costo totale di gestione riferito ad una durata di riferimento (ad es. 50 anni). I cuscinetti reggispinta che sopportano il peso tra un piano e l’altro sono parti strutturali probabilmente non sostituibili e sono certo soggetti ad usura, ma a velocità di rotazione bassissime: durante il ciclo di vita, se correttamente lubrificati, non si usureranno mai (12 rotazioni al giorno x 365 giorni x 100 anni = 438000 rotazioni complete, contro i milioni di rotazioni di durata tecnica di cuscinetti similari). Avete idea di quante rotazioni sopportano i cuscinetti (senza manutenzione) che sorreggono le ruote di un auto auto? 🙂
    Questo non vuole assolutamente dire che non ci saranno problemi (e costi) inerenti la manutenzione della struttura: paradossalmente si deteriorerà molto prima il cemento armato del pilone centrale, che è una struttura “fissa”!

    Secondo punto: la resistenza al cambiamento. Ogni idea nuova ed realmente innovativa si porta dietro un “vento rivoluzionario” in quel particolare contesto. Questo anelito non è necessariamente creativo, ma spesso ha risvolti “distruttivi” nei confronti delle tecnologie/sistemi/processi/organizzazioni oggetto dell’innovazione. Ad esempio, i produttori di nastri magnetici sono stati travolti dall’avvento dei cd, che saranno travolti dalle memorie statiche. Per chi vive il contesto architettonico, l’innovazione è (o dovrebbe essere) una regola del gioco: applicazione di nuovi materiali e nuove tecnologie consentono loro di liberare la cratività e di esplorare nuove zone, spostando i confini un passo più in là. Ma la vena creativa a volte si erode, o si prosciuga, e diventa difficile innovare: quindi si tenta di resistere vanamente al cambiamento.

    In definitiva, secondo me sul piano tecnologico la sfida posta da questo grattacielo è grande, ed avremo tempo per vedere i risultati, ma la sfida concettuale è già stata vinta dalla creatività e dall’innovazione concettuale del team di sviluppo: anche per il solo fatto che siamo qui a discuterne!

    Un augurio di felici studi

    Beeb


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