Ispirazioni

11 luglio 2012

«Per la loro passionalità io ammiro molto più i tedeschi che i francesi, sempre razionali.
Insomma, siamo molto più ammirati oggi, nell’evo post-moderno, degli infelici autori del secolo XIX che han lasciato incompleti i loro impossibili trattati, che non dei pochi che hanno voluto fare una sintesi.
[…]
Così ogni uomo, fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo può radunare sul proprio tavolo di lavoro quei frammenti del mondo ai quali liberamente sceglie di appartenere.
[…]
È importante che i trattati restino incompiuti.»

Da Luciano Semerani, L’oscurità e la luce, lectio magistralis tenuta presso il Politecnico di Milano il 13 marzo 2012.

Mi permetto di suggerire una lettura. Una quasi-singolar tenzone dialettica tra Davide Tommaso Ferrando e la sottoscritta, svoltosi su NIBA qualche tempo fa, e ora divenuto un post sul bel blog Zeroundicipiù.

Buona lettura. 🙂

Bentrovati!
In questa pausa sono successe varie cose, tra le quali la principale mi sembra il fatto che mi sono laureata.
Per riprendere l’attività del blog, mi sembra il caso, dopo alcune richieste, di postare qui qualche logo di NIBA | Network Italiano Blog di Architettura ad uso di quei blogger ad esso iscritti che ne vogliano mettere uno nella loro home.
In alto potete vedere le anteprime delle due versioni, in nero e in bianco. Badate che sono .png, entrambi con sfondo trasparente (lo sfondo bianco e quello nero che si vedono qui sono solo per far risaltare la scritta, non li troverete nei file cui vi indirizzo).
Qui sotto trovate il codice per inserirli nel vostro blog/sito già dotati di link al gruppo di Facebook. Vi basterà copiare il codice e inserirlo nella vostra sidebar (o dove più vi piace) all’interno di un widget generico.
Ne ho realizzati in tre dimensioni diverse. Per avere un’idea delle loro proporzioni, tenete conto che le anteprime che vedete su, all’inizio del post sono larghe circa 200 pixel.

 

VERSIONE NERA:

Grande (300×250 pixel):
<a href="http://www.facebook.com/home.php?sk=group_191424117536163&ap=1"><img src="http://img835.imageshack.us/img835/989/grandenero.png" alt="NIBA | Network Italiano Blog di Architettura" /></a>

Medio (180×150 pixel):
<a href="http://www.facebook.com/home.php?sk=group_191424117536163&ap=1"><img src="http://img853.imageshack.us/img853/4595/medionero.png" alt="NIBA | Network Italiano Blog di Architettura" /></a>

Piccolo (120×90 pixel):
<a href="http://www.facebook.com/home.php?sk=group_191424117536163&ap=1"><img src="http://img832.imageshack.us/img832/2959/piccolonero.png" alt="NIBA | Network Italiano Blog di Architettura" /></a>

 

VERSIONE BIANCA:

Grande (300×250 pixel):
<a href="http://www.facebook.com/home.php?sk=group_191424117536163&ap=1"><img src="http://img862.imageshack.us/img862/7420/grandebianco.png" alt="NIBA | Network Italiano Blog di Architettura" /></a>

Medio (180×150 pixel):
<a href="http://www.facebook.com/home.php?sk=group_191424117536163&ap=1"><img src="http://img651.imageshack.us/img651/2245/mediobianco.png" alt="NIBA | Network Italiano Blog di Architettura" /></a>

Piccolo (120×90 pixel):
<a href="http://www.facebook.com/home.php?sk=group_191424117536163&ap=1"><img src="http://img51.imageshack.us/img51/1742/piccolobianco.png" alt="NIBA | Network Italiano Blog di Architettura" /></a>

Cose dette e cose non dette, una sera, a Milano

Oggi è possibile rivedere il filmato su domusweb, ma mi piacerebbe tracciare una specie di riassunto inesatto (per la limitatezza degli appunti che ho potuto prendere e per la mia imparzialità di partecipante) della serata, per poi trarre qualche considerazione di confronto con la puntata di Londra e qualche punto caldo. Ritengo possa essere utile a chi non c’era e non abbia un’ora e mezza da spendere per vedere la registrazione, nonché, nella versione inglese, per chi non parli italiano. Se non vi interessa il resoconto e volete passare direttamente alle osservazioni, cliccate qui.
Cominciamo.

[Bizzarro posto la Design Library. Inizia come (1) un lounge bar, continua come (2) una biblioteca, si scioglie in (3) una saletta studio per concludersi come (4) una camera oscura per congressi, ma funziona anche come (2)(3)(4)(3)(1). ]

Joseph Grima: vogliamo parlare del nuovo campo da gioco “livellato” della critica di architettura al tempo dei blog. Di come questo influenzi l’autonomia degli autori, di come la critica trasformi la professione attraverso la proliferazione delle voci, soprattutto in Italia, patria per antonomasia delle testate prestigiose di architettura. Professor de Michelis?

Marco de Michelis: quella del critico è una figura drammaticamente rilevante e in crisi oggi, che alle domande del nostro tempo non sa ormai che rispondere con l’agiografia o divagando. Citanto il Benjamin de L’autore come produttore, diciamo che il critico esamina il come degli oggetti per raggiungere il loro perché.
Oggi le immagini [come si è detto a Londra citando ArchDaily e la questione “pornografica”, N.d.R.] sono ovunque. Di conseguenza, non è più il dovere del critico scovare l’attualità, perché ci pensa la rete.
Ma la stampa non specializzata, quando si occupa di architettura, pubblica solo trionfi [fa il caso dell’adorazione incondizionata di cui gode Piano, N.d.R.]. Per questo il mondo ha bisogno di critica! Essa è narrazione e autonomia.

J. G.: Rossella, in che cosa quindi la rete può costituire novità nella funzione della critica?

Rossella Ferorelli: [non avendo appuntato ciò che ho detto, andrò a memoria, N.d.R.] Credo sia proprio nel ribaltamento del meccanismo citato dal professor de Michelis con Benjamin. Se il critico non può più essere il cercatore di novità, e se è vero come è vero che per la maggior parte i blog di architettura sono in mano agli stessi architetti che progettano, allora l’uso della rete non fa che spostare l’attività intellettuale di architettura dall’ambito della critica a quello più propriamente della teoria. Ovvero, da un’attività ex post, che esiste dopo l’oggetto prodotto, si passa piuttosto ad un’attività ex ante rispetto al progetto/prodotto. In altre parole, il lavoro di un blogger ha valore soprattutto se costituisce l’esplicitazione dei processi che lo portano a concepire il progetto, rispondendo prima alla domanda sul perché, e solo dopo ponendosi quella sul come. Progettare sottoponendo i propri tracciati teorico-critici ad un rapporto di feedback continuo con chi segue il blog è ciò che innoverà veramente il processo culturale dell’architettura nei prossimi anni.

J. G.: Un cloud [crowd? N.d.R.] sourcing progettuale, insomma?

R. F.: Esattamente. È proprio per facilitare questo processo di feedback che è nato NIBA, ovvero per superare il limite di integrabilità che affligge le piattaforme “blindate” dei blog. I blog somigliano ancora alle pagine cartacee nel fatto che [a meno di iscriversi ai feed RSS, N.d.R] vanno fondamentalmente “cercati” in rete. Con NIBA potremmo meglio trovarci, oltre naturalmente ad amplificare il confronto orizzontale.

J. G.: Salvatore, a Londra si è sollevato il problema della differenza radicale del trattamento economico di chi scrive online rispetto a chi scrive per testate riconosciute. Cosa cambia, in questo senso?

Salvatore D’Agostino: [in realtà illustra piuttosto il suo obiettivo di blogger per una narrazione della condizione reale italiana da “b-side”. Putroppo qui ho pochi appunti, N.d.R.] Lo spirito della critica online si potrebbe riassumere, citando il libro Città Latenti di Federico Zanfi, come appunto quello della presenza di “critici latenti”.

J. G.: Fabrizio, Abitare ha scelto la forma blog per l’uso commerciale. Il professor de Michelis ha affermato l’impossibilità di fare novità per il critico. Come si pone questo problema per una rivista come la tua?

Fabrizio Gallanti: abbiamo in realtà scelto solo alcune cose del concetto di blog. Sicuramente non abbiamo abbracciato l’idea di blog come espressione pubblica di una singola voce che sceglie così di bypassare i mille ostacoli dell’editoria classica per arrivare direttamente al pubblico. Ci interessa invece esplorare la possibilità della sopravvivenza delle forme critiche rispetto al cambiamento del pubblico. Ci siamo dunque chiesti a quale pubblico ci volessimo rivolgere, e abbiamo scelto quello di chi non è soddisfatto mediamente delle rubriche di architettura dei quotidiani (che perdono vieppiù di credibilità). Inoltre abbiamo conservato la possibilità di commentare ogni post e operiamo una censura assolutamente minima.
Oggi quello che manca sono i blog monotematici, del singolo espertissimo in un argomento fino ad esserne un “nerd” [personalmente non credo sia vero, e la prima cosa che mi è venuta spontanea in quel momento è stato immaginare il fastidio di Emmanuele Pilia che da sempre sul suo blog si occupa precisamente di TransArchitettura!!, N.d.R.]

J. G.: Luca Molinari, Luigi Prestinenza Puglisi nella sua ultima newsletter parla dell’insostenibilità economica della figura del critico oggi. Che ne pensi?

Luca Molinari: occorre ridefinire gli strumenti politici della critica. Tra i valori più alti della critica online c’è il fatto di non avere scadenze. È un importantissimo valore di responsabilità, che rende un blog qualcosa di differente da una rivista, su cui ci sono obblighi, ma anche da diario, su cui si scrive quando capita. Al contrario, è un vero e proprio servizio pubblico.

J. G.: Si può affermare che la marginalizzazione della critica sia anche colpa dei critici? Potremmo azzardare che ciò derivi anche dall’eccesso di teorizzazione degli anni del postmoderno e del decostruttivismo?

L. M.: Può darsi, ma è anche questione di spazio culturale concesso. L’architettura è diventata un fenomeno di costume di massa, che raccoglie interesse, è alla moda. E allora perché nei grandi giornali non c’è mai un critico di riferimento? In Italia negli ultimi anni si è sviluppato un gran professionismo negli studi, per raggiungere i livelli internazionali. Ma si è persa del tutto per strada la teoria!

S. D’A.: Non dimentichiamo però che la storia italiana della critica online non è così giovane. Marco Brizzi è stato il primo “hacker”, creando arch’it. Sono vent’anni di storia di cui nessuno si occupa, ed è questo lo scopo di Wilfing Architettura.

J. G.: Elisa, qual è quindi la specificità italiana, oggi che sempre più italiani parlano inglese e si aprono a culture internazionali?

Elisa Poli: [intervento assennato e interessante, purtroppo ho anche qui pochi appunti. Aspetto la registrazione per aggiungere qualcosa, N.d.R.] La cosa fondamentalmente cambiata è l’assenza della prospettiva zenitale e autoriale della rivista, all’interno della quale un altro livello di autorialità, quello del critico, è a sua volta svanito. Anche per le immagini non è più così, è finito il tempo in cui erano le riviste a dettare le regole espressive dei progetti e delle fotografie.

J. G.: Chiudiamo con Luca Diffuse: qual è a tuo parere la differenza tra il riverbero delle questioni aperte online rispetto a quelle aperte sulle riviste?

Luca Diffuse: il web è un ambiente più “intimo”. Paradossalmente, se ricevo una critica feroce sul web, mi sento toccato più nel profondo, più vicino a me [Aggiunge alcune questioni su quanto sia noioso l’ambiente dell’architettura se non si apre alla scena culturale contemporanea nel suo complesso: musica, cinema, arti visive, ecc., N.d.R.]. Sarebbe un atto di estremo significato etico che anche le riviste accogliessero l’istanza di aperiodicità dei blog, o che per esempio non uscissero sempre in un numero simile di pagine, perché questo significa che la qualità degli articoli non può essere omogenea: le riviste non sono sincere!

M. d. M.: In sostanza, oggi il critico deve inventare di nuovo il suo mestiere.

____________________________________________________________

Questo per quanto riguarda la memoria storica dell’evento.
Passiamo dunque alle osservazioni in merito.

Su NIBA sono già emerse alcune questioni abbastanza rilevanti riguardo il carattere di questa discussione. In sostanza l’esperimento è stato giudicato interessante e necessario nel contesto italiano. Solo pochi anni fa questo sarebbe stato inconcepibile. Tuttavia, la tecnica di moderazione a domanda diretta ha chiaramente limitato il dibattito e prestato il fianco all’emergere di personalismi e autobiografismi qua e là e c’è da registrare che si è anche tentato di svincolare spesso dal tema della critica (soprattutto Salvatore D’Agostino e Luca Diffuse). Personalmente però devo rilevare che a Londra il carattere delle argomentazioni non è stato molto diverso. O meglio, come dicevamo con Elisa Poli in serata, la discussione di Londra ha avuto forse più che a Milano la tendenza ad orientarsi sull’aneddotica degli aficionados. Si tratta naturalmente di un segno ben chiaro della differente maturità della blogosfera anglosassone che, essendo quasi un nuovo establishment culturale, possiede una letteratura già largamente condivisa, che fa storia solida a sè. In Italia, il ritardo della discussione produce paradossalmente una situazione più interessante, perché un’utenza “giovane” di uno strumento già “maturo” può forse produrre contenuti più originali, o quantomeno una discussione un pochino meno ovvia, con alcuni aspetti inconclusi, su cui è ancora interessante speculare.
Per esempio, sottolineerei che non abbiamo parlato mai esplicitamente di università. Certo l’auditorio non era neutrale, ma il fatto che si sia identificato il mondo della critica con il mondo delle riviste è una questione non da poco. Una riforma universitaria è necessaria da tempo, lo sappiamo tutti. Quindi in effetti mi sarei aspettata qualche proposta in merito.
A maggior ragione, ecco una questione che può essere posta all’interno del circuito NIBA e in generale a chiunque si senta lettore di architettura in rete: i blogger di architettura italiani hanno qualche proposta da fare, sullo stato dell’università? Perché non creare una rete di reti con le voci più autorevoli della blogosfera italiana di tutti i settori, per creare un dibattito grosso su questo argomento?

«Un imprevisto
è la sola speranza»
(E. M.)

Martedì 8 febbraio a Milano avrà luogo la seconda puntata del dibattito Critical Futures, avvenuto il mese scorso a Londra, di cui avevo parlato qui. Ecco abstract e partecipanti:

Critical Futures #2
A Domus event in Milano

Un dibattito sul futuro della critica architettonica

Nell’ultimo decennio, trasformazioni epocali hanno profondamente ridisegnato il contesto all’interno del quale si concepisce e si discute l’architettura. Internet ha reso possibile che informazioni e immagini gratuite fossero disponibili e fruibili istantaneamente da chiunque in ogni punto del globo. Le riviste cartacee, un tempo artefici indiscusse della critica architettonica e di design, sono state spinte a ridefinire la propria ragion d’essere e il proprio modello economico alla luce della diminuzione dei lettori; i blog hanno dato un audience potenzialmente illimitata a chiunque abbia una connessione Internet. In questo quadro, la critica architettonica in senso tradizionale sembra vicina a scomparire – non solo da Internet ma anche dalle testate cartacee. Come ha scritto Peter Kelly, direttore di Blueprint, in un recente editoriale: “Poiché i media tradizionali e le istituzioni stesse sono diventate meno influenti, ci si chiede dove gli architetti possano rivolgersi per trovare una critica intelligente e fondata delle loro opere”.

Che influenza avrà sull’architettura italiana, la cui storia è inscindibilmente legata a quella delle sue grandi testate cartacee, la proliferazione di reti aperte, autonome e gratuite di dibattito online intorno alla progettualità? Gli architetti oggi cercano davvero una “critica intelligente e fondata” delle loro opere, o la figura del critico d’architettura è piuttosto è da considerarsi un anacronismo? C’è bisogno urgentemente, come scrive Kelly, di un approccio on-line più realistico e rigoroso alla critica architettonica? L’incontro alla Design Library di Milano sarà il secondo di tre dibattiti sul futuro della critica architettonica, organizzati da Domus a Londra, Milano e New York, e vedrà la partecipazione di scrittori, direttori di testate, blogger e teorici protagonisti del settore.

L’incontro sarà seguito da cocktail e musica offerti da Domus. Sarà anche l’occasione per festeggiare le molte novità della nuova versione di domusweb appena lanciata.
Partecipano:
Salvatore d’Agostino – autore del blog Wilfing Architettura
Rossella Ferorelli – blogger e fondatrice Network italiano blog d’architettura [e già!]
Fabrizio Gallanti – abitare.it
Marco de Michelis – critico e storico dell’architettura
Elisa Poli – ricercatrice
Luca Molinari, critico e curatore
Luca Diffuse, architetto e blogger

Modera: Joseph Grima – Domus
martedì 8 febbraio 2011, ore 19
Design Library
Via Savona,11
Milano
Ingresso libero

In streaming su www.domusweb.it

Invito tutti a seguire la diretta in streaming. Spero che stavolta rendano possibile l’intervento via mail o via chat: sarebbe proprio il caso giusto.

Yuppi!

Dal Nido al NIBA!

24 gennaio 2011

Come potete notare, da oggi qui a destra nella mia sidebar campeggia un nuovo logo, disegnato da Daniele Mantellato: quello del NIBA | Network Italiano dei Blog di Architettura.

Si tratta in sostanza di un gruppo di Facebook da me creato con questa descrizione:

Cari amici blogger di architettura, lettori di blog di architettura o appassionati,
sicuramente molti di voi si saranno resi conto che i blog e Facebook sono strumenti molto diversi, per pregi e difetti.
Amiamo i blog per la libertà che ci lasciano nel dar loro la nostra forma preferita.
Amiamo Facebook per la facilità con la quale ci tiene in contatto e ci permette di condividere contenuti.
Abbiamo creato questo gruppo con l’intenzione di farne un connettore di blog, per aiutare i blogger di architettura italiani (e non) a tenersi meglio aggiornati sulle loro attività. Non chiediamo altro che di dargli visibilità e di condividere contenuti: in particolare, sono bene accette note e link ai vostri post.

La mia idea, dunque, era quella di creare un semplice «network nel network», come lo ha acutamente definito Alessandro Rocca (Low Cost Low Tech). Ma, come speravo, in breve la stanza si è riempita di volti e di parole, e a una settimana dall’inizio di tutto siamo già 97.

Forse la blogosfera italiana non è poi così deserta come sembra, visto che sono già nate, nel gruppo, discussioni anche molto accese. Chiunque sia interessato è invitato ad iscriversi e partecipare!

Eccoci (spero) tutti:

A Come Architettura
Abitare Mag
Laura Aquili di DES-ART-CHITECTURE
Antonio Marco Alcaro, Giulio Paolo Calcaprina e Giulio Pascali di Amate l’architettura
Francesco Alois di Spirito Architettonico Libero
ArchitectureFeed Architecture Aggregator
Guido Aragona di Bizblog
Andrea Balestrero
Carlo Beltracchi di Beyond the Light Bulb
Claudio Bosio
Marco Brizzi di arch’it
Antonella Bruzzese
Marco Calvani
Silvio Carta di Beyond Icons 2.0
Diego Casartelli
Channelbeta Architectural Review, Gianluigi D’Angelo e Matteo Falcone
Simo Capecchi di In viaggio col taccuino
Maurizio Caudullo di Archinlab
Chvl Associati
Domenico Cogliandro
Comitato Sarzana Che Botta
Luca Coppola
Salvatore D’Agostino di Wilfing Architettura
Gianluigi D’Angelo
Davide Del Giudice
Maurizio Degni di Frustrazioni architettoniche
Roberta Patrizia Di Benigno
Luca Diffuse di Luca Diffuse e Diffuse Outtakes
Domenico Di Siena di Urbanohumano
Davide Di Virgilio
Edilizia E Territorio e Giorgio Santilli
Massimiliano Ercolani di Dokc Lab
Alessio Erioli di Co-de-it
Barbara Falcone di Cibo Architettura
Cristian Farinella e Lorena Greco di Gluemarket
Elena Fedi di Archiportale
Marco Ferrari
Fabio Fornasari di Luoghi sensibili
Annalisa Gentile
Mario Gerosa di Virtual Architectural Heritage
Andrea Graziano di digitag&
Joseph Grima di Domusweb
Luca Guido di Luca Guido
Alberto Iacovoni di ma0 News
Impianti Idrici
Guido Incerti
Jakob Knulp di One to the third
Diego Lama
Matteo Lecis Cocco-Ortu
Enrica Longo
Matteo Lo Prete
Robert Maddalena
Zaira Magliozzi di TheNewArchinTown
Marco Mantellato
Daniele Mantellato
Simona Mazzeo
Ettore Maria Mazzola
Giovanni Mendola di [Identità e Città]
Luca Molinari
Zoè Chantall Monterubbiano
Renato Nicolini
Edmondo Occhipinti di | edmondo occhipinti architect |
Giorgio Opla e Marco Opla di Opla+
Emanuele Papa de Il blog della cosa
Claudia Pasquero di ecoLogic
Francesco Pecoraro
Emanuele Piccardo di Architettura radicale e archphoto
Paola Pierotti
Emmanuele Jonathan Pilia di PEJA TransArchitecture research
Press/Tfactory e Luigi Prestinenza Puglisi
Paolo Priolo di klat magazine
Pask Rienzo
Alessandro Ranellucci di ArchiBlog
Alessandro Rocca di Low Cost Low Tech
Ugo Rosa di Fiordizucca
Fabrizio Russo
Serena Russo di Petra Dura, architettura e contorni
Antonino Saggio
Giorgio Santilli
Sardarch Architettura
Carmelo Cesare Schillagi
Matteo Seraceni di = Architettura = Ingegneria = Arte =
Luca Silenzi di Spacelab
Diego Terna di l’architettura immaginata
Viviana Terzoli
Traccia Menti
Paolo Valente
Marco Verde di Performative design processes for architecture
Angelo Verderosa
Davide Vizzini

Come vedete, i nomi sono tanti ma i link sono pochi. Questo è perché non conosco ancora molti di voi, oppure non ho trovato l’indirizzo del vostro blog, oppure ancora vi ho involontariamente saltati. Ho intenzionalmente evitato i siti degli studi, quelli puramente di portfolio, perché credo che lo spirito di NIBA sia chiaramente un altro da quello della semplice dimostrazione del proprio lavoro. Se ho dimenticato qualcuno o sbagliato qualcosa, oppure se non vi sembra che il criterio di selezione dei link sia valido, commentate e rettificherò immediatamente.
Ora: cosa ci aspettiamo da questo NIBA? Per la verità, non ne ho la minima idea. Ciò fa tuttavia parte del gioco, perché mi aspetto sorprese.
Stiamo a vedere.


Ieri mi è capitata la piacevole esperienza di assistere a una conferenza a Londra in diretta in streaming.
Si trattava del dibattito Critical Futures, organizzato da Domus e trasmesso su Domusweb, sito/blog che stupisce per la sua freschezza oltre che per la qualità dei suoi contenuti, essendo il corrispettivo online della seconda rivista italiana di architettura per antonomasia, che quest’anno compie ben 83 anni di esistenza.
Qui potete leggere tutti i dettagli dell’evento. Riporto i relatori:

Shumi Bose – scrittore [così sulla pagina di Domus; tuttavia, all’appello uno scrittore è di troppo e manca invece una ragazza asiatica presente alla discussione, che sta svolgendo una tesi di ricerca proprio sui temi della mutazione della stampa di architettura all’epoca dei blog. Inoltre trovo, sul sito dell’AA School, che Shumi Bose è Teaching Assistant in History & Theory Studies]
Charles Holland – autore di Fantastic Journal
Peter Kelly – direttore di Blueprint
Kieran Long – critico di architettura dell’Evening Standard
Geoff Manaugh – autore di BLDGBLOG
Beatrice Galilee – autrice e curatrice, domusweb, The Gopher Hole

Moderatore: Joseph Grima, Domus.

La conversazione è stata molto piacevole e informale, con begli interventi dal pubblico. Non mi sarà possibile fornire un resoconto puntuale di tutto ciò che è stato detto, anche perché le difficoltà di ascoltare una conferenza in streaming sono molte (per esempio, la comprensione delle parole di Geoff Manaugh, che era in collegamento da Los Angeles, è stata molto difficoltosa perché, oltre ad una parlantina particolarmente rapida – tanto da colpire persino il pubblico londinese -, una serie di problemi di feedback audio e di  volume altalenante ne hanno compromesso la fruibilità). Copierò quindi brutalmente i miei appunti in proposito, spero di ricordare bene.

Peter Kelly: pensa ai dibattiti che prima si scambiavano a forza di editoriali tra riviste, come per esempio tra Mendini, che scriveva su Domus, e Maldonado, che rispondeva da Casabella. Oggi non ha alcun senso che questo avvenga, se non online. Cosa cambierà?

Kieran Long: [alquanto istrionico, N.d.R.] non si può tuttavia parlare di vera e propria tradizione giornalistico-critica per l’architettura [credo in Inghilterra, N.d.R], perché non c’è stata volontà di crearne una da parte della passata generazione. L’età media dei redattori delle riviste è molto alta e nessuno ha interesse ad abbassarla.
Nei blog c’è in generale anche più libertà di espressione, che invece è legata nell’editoria ufficiale a causa di problemi connessi con la proprietà delle testate e in generale a questioni di interesse economico.

Joseph Grima: tuttavia, nell’universo dei blog non esiste «stroncatura» [lo dice in italiano non riuscendo a trovare l’adatto corrispettivo inglese, nonostante lo parli praticamente come prima lingua, N.d.R.].

Charles Holland: il suo lavoro sul blog affronta temi che sono anche solo tangenzialmente connessi con la propria professione di architetto, quindi non c’è sempre diretta connessione con l’universo professionale.

Shumi Bose (?): ma non si può paragonare del tutto vecchia editoria e blogosfera o giornalismo online. Riflessione sul retroterra culturale. L’effetto principale dell’attività online è la “despecializzazione”, ovvero la perdita di specialismo sia in entrata (scrittura) che in uscita (lettura). Causa ed effetto di ciò è che per la maggior parte, coloro che scrivono online lo fanno gratuitamente. Nei loro confronti c’è diffidenza, ci si chiede chi siano queste persone che non hanno mai pubblicato, se non online.

Joseph Grima: c’è un’etica della scrittura di architettura online?

Beatrice Galilee: forse no, ma bisogna osservare come lo stream continuo di immagini patinate sui blog di architettura sia pornografico. Molti blog raggiungono flussi massicci di traffico proprio per questo motivo. Qual è l’effetto di questo fenomeno sulla cultura architettonica contemporanea? Potrebbe danneggiarla?

Shumi Bose (?): però si tratta di un atto fortemente politico. Si pensi a quale importanza sociale possono avere i molti blog di architettura di lingua spagnola, che fanno particolarmente leva sull’uso delle immagini, sull’ambiente culturale dell’America Latina.

Beatrice Galilee: questo può diventare davvero un territorio di concorrenza per le riviste cartacee. Perché dovrei comprarne una, se trovo online le immagini che cerco?

Kieran Long: il problema è che non ci sono abbastanza intellettuali e teorici di architettura!

Joseph Grima: in Italia il problema è l’opposto! [accenna sarcasmo e il pubblico ride, N.d.R.]

Geoff Manaugh: si stupisce di come molti suoi post che lui considera tematicamente e geograficamente marginali vengano condivisi online da un altissimo numero di persone.

Commento dal pubblico: nei blog c’è molta più passione, è possibile schierarsi con più facilità e prendere posizioni nette. Per questo motivo è probabile che nel prossimo futuro siano più i blog e i contenuti diffusi online a spostare e orientare il dibattito, piuttosto che le riviste, che sono sempre su posizioni pressoché neutrali, schiave della ricerca dell’obiettività indotta dal professionalismo.

[Non ricordo più chi]: l’importanza sociale tipicamente attribuita all’architettura negli anni ’60 e ’70 si è perso con l’emergere dello starsystem. È quello spirito che oggi muove i blogger.

Ovvero: usare i blog come pretesto per indagare l’avanguardia

Vi invito a leggere sul blog De Architectura questo post a valle del quale si è generata una piccola discussione alla quale anche io ho partecipato.
Sostanzialmente, il post commenta una trovata natalizia per la quale le vetrate del Duomo di Milano sono state illuminate dall’interno. In tal modo, si è creato un effetto inedito per la città, dato che la norma vuole che la luce attraversi quei vetri da fuori a dentro, e che solo chi è dentro possa percepirne l’effetto. Qui è possibile vedere le foto dell’intervento.
Nel citato blog, particolarmente attraverso i commenti, vengono – è il caso di dirlo – alla luce varie posizioni, ma in summa il giudizio è complessivamente negativo per tre ordini di motivi, che così possiamo riassumere:
economico-commerciale: l’intervento è finanziato/patrocinato dall’azienda di illuminazioni locale (l’AEM), dunque c’è sotto una ragione di interesse;
profano-consumistico: la curia si abbandona a stratagemmi di marketing poco spirutuali; «La luce artificiale che brilla nella notte meneghina dentro il duomo e lo fa risplendere come una grande luminaria natalizia visibile solo restando fuori nel profano, permette l’esperienza spirituale di elevazione della mente a Dio?» (commento di Paolo Gobbini);
filologico: le finestre sono fatte per essere viste dall’interno e dal basso, mentre dall’esterno l’immagine è speculare; si genera «la forzatura di voler “leggere” un’opera d’arte in condizioni differenti da quelle per cui è stata concepita e creata» (commento di Enrico Delfini).

Accettando come plausibile motivo di dissenso solo il primo dei tre ordini di argomenti, intendo confutare gli altri due e proporre una differente lettura dell’operazione.
Per brevità, riporto la parte centrale del mio commento alla questione:

Personalmente, infatti, ritengo che la reinterpretazione (purché non invasiva, e questa di certo non lo è) degli oggetti di architettura anche antica sia non solo diritto dei contemporanei, ma persino un loro dovere. Se l’architettura è, infatti, per eccellenza arte civile – e quindi sociale – essa è nata per essere utilizzata e per evolversi assieme agli usi stessi, che non sono fissi nel tempo.
Allora, un’operazione così “delicata” (nel senso della reversibilità) non deve essere condannata solo perché non filologica, perché la filologia, a ben guardare, ha ben poco a che spartire con l’arte.
E, per dirla tutta, a me l’operazione piace. Avrò una spiritualità poco filologica anch’io, probabilmente, ma se fossi più convintamente cattolica, direi che guardare le vetrate illuminate dalla piazza mi farebbe venire in mente, per prima cosa, che non occorre entrare in una chiesa per essere in una chiesa.

Il che è poi il massimo traguardo di un’operazione di architettura, non credete?

Ora, espandiamo un poco l’argomento e cerchiamo di capire perché può essere interessante per noi.

Dunque, studiare Zevi o Benevolo acquisendone il metodo significa, in primo luogo, dare alla storia dell’architettura (e in particolare a quella dell’architettura moderna) una lettura orientata, ovvero una sorta di teleologia, o più propriamente piuttosto di fenomenologia ermeneutica. Significa, in altre parole, interpretarla come il tentativo degli uomini di emanciparsi in una direzione. Per i due giganti della storiografia, si trattava di liberarsi dai gioghi dello storicismo e quel che viene dopo è storia nota – si potrebbe dire con un bisticcio di parole.
A mio avviso, un simile approccio può essere ancora utilizzato, se consideriamo che alle mutazioni continue del nostro modo di comprendere lo spazio dovrebbero corrispondere altrettante evoluzioni del nostro modo di progettarlo, occuparlo e manipolarlo.
Come ho avuto modo di dichiarare più volte anche solo all’interno di questo blog, è mia opinione che il ruolo del teorico dell’architettura sia per questo motivo inscindibile da quello del progettista e che l’obiettivo di questo Giano bifronte sia appunto quello di indicare come e perché si deve progettare. E quindi oggi la direzione che la storia sta seguendo è quella verso lo sdoganamento di una serie di concetti spaziali caratterizzati da gerarchie logiche e geometriche del tutto superate dai tempi.

Tra queste, mi pare chiarissimo che rientri anche l’antinomia dentro/fuori. Concavità e convessità sono oggi concetti del tutto ambigui grazie alla topologia e all’emergere di tipologie di soggetti progettuali “a volume zero” che trascendono la dimensione architettonica tradizionale.
Allora, un intervento come quello milanese, che – forse inconsapevolmente – permette la riflessione sulle potenzialità del fuori di possedere caratteristiche del dentro, non può che generare grandissimo interesse, spingendo anche il passante dotato di spirito critico a domandarsi: cosa effettivamente separa le navate del Duomo dal sagrato, dalla piazza?
Poco respiro, invece, hanno le vecchie critiche sulla coerenza con delle condizioni iniziali in genere solo grossolanamente supposte.
E tutto questo a prescindere, naturalmente, da un’idea di comunità ecclesiastica tanto più francamente indifendibile quanto più si arrocca persino su considerazioni di ordine geometrico, selezionando i suoi alleati tra le retroguardie di ogni settore. Ma questa è tutta un’altra questione.

Il cattivo docente

30 dicembre 2010


Ogni realtà urbana ha quello che si merita, è quello che viene da dire quando un articolo del genere compare su su Il Giornale dell’Architettura (cercare per credere: a pagina 21 del numero 90, dicembre 2010-gennaio 2011). E se quindi le mirabolanti ambizioni di Bari possono arrivare all’assurdo di richiedere la candidatura a Capitale europea della Cultura per il 2019 (per gli scettici: qui, con tanto di foto patinate) pur non possedendo, ad oggi, nemmeno un museo presentabile a livello internazionale, allora non possiamo stupirci nemmeno del fatto che Nicola Signorile – noto nonché solo giornalista di architettura (sic) della città -, o chi per lui, abbia avuto la sfavillante idea di far comparire questa preziosa gemma sulla rivista nazionale.
Ora: che l’intento dell’articolo sia sarcastico, è chiaro come il sole. Ciò che mi lascia gravemente perplessa, tuttavia, è il fatto stesso che un articolo così fatto esista.
In altre parole, quello della nuova Facoltà di Architettura è uno scandalo alla luce del sole. In esso non solo è evidentissimo l’ossimoro tra la prefabbricazione massiccia e i tempi di costruzione assolutamente inaccettabili (pari a quelli della costruzione del Maxxi), ma c’è da mettere in discussione il progetto nel suo complesso, laddove le forme neoclassico-nauseabonde sono solo la punta di un iceberg di imbarazzante mancanza di qualità. Le due pachidermiche carcasse, che si aggirano ognuna intorno ai 50×50 m in pianta per una superficie complessiva che, a un calcolo sulle dita, supererà i 15.000 metri quadrati, non contengono infatti che aule rachitiche, mentre gli spazi espositivi sono ricavati da corridoi residuali, sconnessi e privi di identità. Il tutto per una clamorosa mancanza di respiro architettonico, proprio laddove avviene (dovrebbe avvenire) la formazione artistica e percettiva degli studenti. Studenti i quali, naturalmente, non possono che recepire la novità con blanda soddisfazione, abituati all’unica alternativa possibile a questo scempio: il nulla. E ciò anche quando, sin dal primo momento, è evidente che la struttura è rifinita a dir poco modestamente – naturale: qualsiasi disponibilità finanziaria si smaterializza dopo un decennio di cantierizzazione! – e manca anche delle più banali attrezzature atte a renderla utilizzabile dagli studenti: a partire dalle prese elettriche per i computer portatili.
Per questi motivi, la sottile ironia di Signorile in questo caso non vale poi molto più di una sottomissione completa al regime di Claudio D’Amato, il cui nome non dovrebbe mai comparire su una rubrica intitolata “Professione & formazione”, poiché il personaggio ha ormai ben poco da spartire con una e con l’altra cosa, essendo fondamentalmente incapace di redigere un progetto che non superi di 5 volte i budget disponibili, o anche solo che rispetti uno dei canoni cultural-estetici coi quali costantemente si ostina a limitare l’immaginario dei suoi malcapitati allievi.
Allora, quando i reportage della situazione barese tingono di toni pastello una tragedia sventolata con leggerezza – e un certo compiacimento per la propria acuta sagacia – di fronte alla nazione come se si trattasse dell’angolo del sedicente “esperto” cinico nel giornaletto di quartiere, abbiamo il dovere di scandalizzarci e di non accettare nessuna posizione che non sia un grido di rabbia o, se non altro, la dignità di un più intelligente silenzio.

Luci tra la nebbia

16 dicembre 2010

Ho sentito dire che qualcuno, al sapere in anticipo l’argomento da me scelto, ha mostrato una certa perplessità: come se, da parte mia, questa fosse una scelta, diciamo, curiosa. Invece, a me sembra evidente che nessun argomento, oggi, interessa, come questo, da vicino, ogni scrittore. A meno che non si vogliano confondere gli scrittori coi letterati: per i quali, come si sa, il solo argomento importante è, e sempre è stata, la letteratura; ma allora devo avvertirvi subito che nel mio vocabolario abituale, lo scrittore (che vuol dire prima di tutto, fra l’altro, poeta), è il contrario del letterato. Anzi, una delle possibili definizioni giuste di scrittore, per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sia a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura.
[…]
Però, nello stesso tempo, per merito della fortuna, io mi onoro di appartenere alla specie degli scrittori. Da quando, si può dire, ho incominciato a parlare, mi sono appassionata disperatamente a quest’arte, o meglio, in generale, all’arte E spero di non essere troppo presuntuosa se credo di avere imparato, attraverso la mia lunga esperienza e il mio lungo lavoro, almeno una cosa: una ovvia, elementare definizione dell’arte (o poesia, che per me vanno intese come sinonimi).

Eccola: l’arte è il contrario della disintegrazione. E perché? Ma semplicemente perché la ragione propria dell’arte, la sua giustificazione, il solo suo motivo di presenza e sopravvivenza, o, se si preferisce, la sua funzione, è appunto questa: di impedire la disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante, e alienante uso col mondo; di restituirle di continuo, nella confusione irreale, e frammentaria, e usata, dei rapporti esterni, l’integrità del reale, o in una parola, la realtà (ma attenzione ai truffatori, che presentano, sotto questa marca di realtà, delle falsificazioni artificiali e deperibili). La realtà è perennemente viva, accesa, attuale. Non si può avariare, né distruggere, e non decade. Nella realtà, la morte non è che un altro movimento della vita. Integra, la realtà è l’integrità stessa: nel suo movimento multiforme e cangiante, inesauribile – che non si potrà mai finire di esplorarla – la realtà è una, sempre una.
Dunque, se l’arte è un ritratto della realtà, chiamare col titolo di arte, una qualche specie, o prodotto, di disintegrazione (disintegrante o disintegrato), sarebbe per lo meno una contraddizione nei termini. Si capisce, quel titolo non è brevettato dalla legge, e nemmeno sacro e inviolabile. Ognuno è padrone di mettere quel titolo di arte dove gli pare; ma anch’io sarò padrona, quando mi pare, di denominare costui per lo meno un pazzariello. Come sarei padrona di chiamare pazzariello – diciamo in via di esempio ipotetico – un signore che msistesse per forza a offrirmi nel nome di sedia un rampino appeso al soffitto.
Ma allora, bisognerà porsi una domanda: poi che l’arte non ha ragione se non per l’integrità, quale ufficio potrebbe assumersi dentro il sistema della disintegrazione? Nessuno. E se il mondo, nella enormità della sua massa, corresse alla disintegrazione come al proprio bene supremo, che cosa resterebbe da fare a un artista (ma da questo momento in poi, se permettete, come riferimento particolare che vale per ogni artista in generale, considererò lo scrittore) – il quale, se è tale veramente, tende all’integrità (alla realtà) come all’unica condizione liberatoria, festosa, della sua coscienza? Non gli resterebbe che scegliere. O si convince di essere lui nell’errore, e nel torto. E che quella figura assoluta della realtà, l’integrità segreta e unica delle cose (l’arte), non era che un fantasma prodotto dalla sua propria natura – un trucco di Eros, diciamo, per far durare l’imbroglio, In questo caso, sentirà scadere irrimediabilmente la sua funzione, la quale anzi gli risulterà peggio che vana, disgustosa, come il delirio di un drogato. E in conseguenza, cesserà dallo scrivere.
Oppure, lo scrittore si convince che l’errore non è dalla sua parte. Che non lui stesso, ma i suoi contemporanei, nella loro enorme massa, sono nell’equivoco. Che insomma non è, diciamo, Eros, ma Thanatos, invece, l’illusionista, che fabbrica le sue visioni mostruose per atterrire le coscienze e imbrogliarle, snaturandole dalla loro sola contentezza e deviandole dalla spiegazione reale. Così che, ridotti alla elementare paura dell’esistenza, nella evasione da se stessi e quindi dalla realtà, loro, come chi ricorre alla droga, si assuefanno all’irrealtà, che è la degradazione più squallida, tale che in tutta la loro storia gli uomini non hanno conosciuto mai l’uguale. Alienati, poi, anche nel senso della negazione definitiva; poiché per la via della irrealtà non si arriva al Nirvana dei sapienti, ma proprio al suo contrario, il Caos, che è la regressione infima e la più angosciosa.
[…]
Il sistema della disintegrazione, logicamente, ha i suoi funzionari, segretari, parassiti, cortigiani, ecc. E tutti costoro, nel proprio (malinteso) interesse, o perché ingannati (diciamo così) in buona fede, dal loro stesso errore, cercheranno di infiacchire le resistenze dello scrittore con mezzi diversi. Tenteranno per esempio di accattivarlo o di assimilarlo nel sistema attraverso la corruzione, la popolarità scandalistica, i successi volgari, promuovendolo a un divo o a un play boy. Oppure, al contrario, si adopreranno a fargli apparire la sua differenza dal sistema come un tradimento, o una colpa, o una immoralità, o un moralismo, o una insufficienza. Andranno dicendo, per esempio, che non è moderno. Per forza! difatti nel loro concetto, essere moderni significa essere disintegrati, o in via di disintegrarsi. Andranno dicendo magari che non si occupa di cose serie, né della realtà; e si capisce! giacché il sintomo principale della disintegrazione, di cui loro sono succubi o malati, consiste nell’assumere come realtà il suo contrario.
Come si è detto, dentro il sistema non possono esistere scrittori, nel senso vero del termine; però c’è una quantità di persone che scrivono, e stampano libri, e si potranno distinguere chiamandoli genericamente scriventi. Alcuni di loro sono semplici strumenti del sistema: strumenti, però, di importanza assai secondaria al confronto di altri, quali gli scienziati della bomba. Le stanze, gli uffici di questi scriventi si possono considerare delle minime succursali degli stabilimenti nucleari veri e propri.
[…]
E tentavo di spiegare che cosa sia la realtà; ma purtroppo dubito di esserci riuscita, giacché questa è una cosa che si capisce solo quando la si prova, e quando la si prova, non si ha bisogno di spiegazioni. Una volta un novizio chiese a un vecchio sapiente orientale: «Che cos’è il Bodhidharma?» (che significherebbe approssimativamente l’Assoluto, o simile). E il sapiente, pronto, gli rispose: «Il cespuglio in fondo al giardino». «E uno che capisse questa verità,» domandò ancora, dubbioso, il ragazzo «che cosa sarebbe, lui?». «Sarebbe» rispose il vecchio dandogli una botta in testa «un leone con la pelliccia d’oro».

Da Elsa Morante, Pro o contro la bomba atomica, in Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, Adelphi, Milano, 1987.
Corsivo originale, grassetto mio.